Primavera
araba potrebbe essere il nome di un drink. Uno di quelli forti, che si beve ad
occhi chiusi per non pensarci più. Solo che poi il risveglio è durissimo. C’è
molto su cui riflettere. Ci sono tutti i nodi che l’Occidente si è rifiutato di
affrontare e che ora vengono furiosamente al pettine. Sgombrato il campo dalla
falsa idea che un film semi-sconosciuto, per quanto deplorevole, possa aver
scatenato l’ondata di violenza che è costata la vita all’ambasciatore Stevens e
ad altri innocenti (ma anche se si fosse trattato davvero di una reazione
spontanea alla diffusione della pellicola ritenuta blasfema, non dovremmo porci
qualche domanda?), quello che alcuni analisti chiamano risveglio arabo è
l’ovvia conseguenza del vuoto di potere creatosi dopo la caduta dei vecchi
regimi in Egitto, Tunisia e Libia. Magari era proprio nel timore di scenari come
questi che qualcuno aveva manifestato qualche perplessità sull’opportunità di
intervenire militarmente contro Gheddafi, sentendosi accusare di simpatie
filo-tiranniche e opportunismo economico, mentre i dubbi su una guerra che ha
cambiato il destino della Libia erano più che giustificati, anche per le
modalità con cui è stata decisa e condotta: la Francia ha lanciato l’idea,
l’Europa si è accodata, l’America ha fatto il minimo indispensabile,
l’opposizione della Russia è stata facilmente aggirata, l’opinione pubblica non
ha obiettato più che tanto, e il pacifismo d’ordinanza non si è fatto né vedere
né sentire. Un ottimo ritorno d’immagine (l’Occidente che si muove per
sostenere il popolo libico nella cacciata del suo odioso dittatore) con
relativo poco sforzo. Tutto bene, dunque? Proprio no. Perché la fine di
Gheddafi e il sostegno incondizionato ai giovani protagonisti della primavera
araba avevano un significato e un valore che è stato totalmente rinnegato
all’alba delle rivolte in Siria. L’Occidente che si illude di poter intervenire
a seconda delle circostanze e senza prendersi la responsabilità delle
conseguenze delle sue azioni – materiali e morali – è lo stesso che è caduto
dal letto la mattina dell’assalto al consolato americano di Bengasi e dell’uccisione
dell’ambasciatore Chris Stevens.
E’
stato il totale disimpegno americano ed europeo per la repressione e la
distruzione di intere città e popolazioni siriane a creare le condizioni per l’esplosione
di violenza che sta infiammando i paesi arabi. Perché il messaggio è stato
chiaro: l’Occidente si è schierato a favore di un non meglio specificato
processo di democratizzazione, ha armato i ribelli ed è intervenuto militarmente
senza preoccuparsi di gestire il passaggio dalla guerra civile ad un nuovo
ordinamento. Caduti i vecchi dittatori, succeda quel che succeda. E infatti è
successo. Illusasi, forse, di poter contare sul sostegno occidentale, la
rivolta si è estesa fino in Siria, dove si è arrestata non tanto a causa della
repressione, quanto dell’indifferenza e del realismo pavido di un’America alle
prese con la campagna elettorale per le presidenziali, e di un’Europa che senza
le alzate di scudi della Francia di Sarkozy non sarebbe andata nemmeno in Libia
(non è curioso che Obama punti sull’immobilismo per essere rieletto mentre l’ex
presidente francese abbia tentato la carta della guerra a scopo umanitario per
lo stesso motivo?).
Quello
che resta, è la definitiva presa di coscienza da parte degli integralisti della
capacità dissuasiva dell’Iran. I suoi alleati, Siria in primis, non si toccano;
Hezbollah, in Libano e nella striscia di Gaza, si fa ogni giorno più minaccioso
e aggressivo nei confronti di un Israele sempre più odiato, isolato e
circondato, ed anche quando gli Stati Uniti vengono attaccati durissimamente
con un’azione chiaramente premeditata e preparata per mesi, non a caso
perpetrata nei giorni dell’anniversario dell’11 settembre, l’Occidente non
trova di meglio che scagliarsi contro le presunte responsabilità di un film
semi-ignoto spingendosi, per voce di qualche intellettuale europeo, ad
ipotizzare l’istituzione di una nuova fattispecie di reato che punisca il
presunto vilipendio al sentimento religioso islamico. E il governo americano arriva
persino a scusarsi mentre le sue bandiere bruciano e le sue ambasciate vengono
assaltate. Certo, Obama - il presidente meno incline alla politica estera della
storia americana - ha promesso di dare la caccia e punire i responsabili della
morte di Chris Stevens e dei suoi collaboratori, ha mosso uomini e mezzi, ma
mostrare i muscoli e chiedere scusa è una contraddizione che non risolverà
nulla. Volenti o nolenti abbiamo spianato la strada alla presa di potere degli
estremisti in Libia ed Egitto mostrandoci superficiali, pavidi, inetti. Il
risultato è l’esplosione di una bomba ad orologeria i cui danni non sono
attualmente calcolabili e le cui conseguenze sono indecifrabili. Quel che è
certo, è che i ribelli siriani che abbiamo abbandonato al proprio destino li
piangeremo per molto tempo.