mercoledì 12 dicembre 2012

La cultura della spocchia


Le primarie del Pd sono state una sorta di paradigma dell’Italia. Dalla querelle sulle regole della campagna elettorale dei candidati alle polemiche sulle modalità di voto del secondo turno, c’è mancato poco che al posto dei garanti dovesse intervenire la magistratura, come sempre più spesso accade in un paese in cui la politica non rispecchia affatto il carattere nazionale italiano, ma è piuttosto l’origine e la ragione della diffusione della furbizia e dell’anarchia dentro e fuori il mondo politico ed istituzionale. Eppure, per i tre mesi che sono durate, hanno fatto bene a tutti. Alla politica in generale, che nel suo dibattito aveva ripreso un certo tono; agli italiani, a quelli che si sono entusiasmati e hanno partecipato, come quelli che hanno seguito tutto dalla poltrona di casa con un interesse vivo che non provavano da tempo; e alla sinistra, naturalmente, che – forse per la prima volta – invece di rincorrere gli eventi ha cavalcato l’onda e si gode il risultato. Ci sono momenti topici nella storia di un paese in cui i nodi vengono irrimediabilmente al pettine, e, nel quadro generale attuale dell’Italia, che vede materializzarsi all’improvviso tutti gli errori commessi negli ultimi quarant’anni e ne sta pagando il salatissimo prezzo, il significato delle primarie è stato quello di mettere il paese davanti allo specchio e fare una scelta determinante su ciò che vuole essere in futuro. La cosa peggiore che potrebbe succedere, ora, è che tutto questo finisca nel dimenticatoio. Un timore non proprio campato in aria a giudicare dai discorsi sentiti in questa settimana, che somigliano molto più a quelli della solita vecchia campagna elettorale, piuttosto che alle idee e alle prospettive per il futuro lanciate in questi tre mesi, e di Matteo Renzi, improvvisamente, già non si parla quasi più. Non stupisce certo che i vincitori si affrettino a spazzare via i residui del riformismo spinto renziano, tutti concentrati come sono a mettere in piedi la solita armata Brancaleone per vincere le elezioni senza poi poter governare (con la piccola differenza che questa volta non ci sono margini per scherzare), ma il punto è che nella guerra tra Renzi e il “vecchio” Pd (o il Pd già vecchio) c’era molto più della cosiddetta questione generazionale, molto più della sfida all’apparato tradizionalmente gerarchico e gerontocratico della sinistra comunista e post-comunista. In gioco c’era anche il destino di un germe che ha permeato di sé ogni settore della vita pubblica italiana, per regioni storiche determinate, che trascende completamente la sfida sulla fisionomia del Pd. Si tratta della cultura della spocchia.
La cultura della spocchia è quella regola non scritta, ma rigidamente osservata, per cui i giovani italiani, nella stragrande maggioranza, non possono emergere o raggiungere posti chiave del sistema in modo autonomo, contando esclusivamente sui propri sforzi, la propria competenza e i propri meriti. La politica italiana non ne è, evidentemente, solo la manifestazione più plastica, ma anche e soprattutto la progenitrice che questa cultura l’ha irradiata e lasciata proliferare in tutti i settori e gli ambienti professionali e culturali. Cosa, infatti, di Renzi ha infastidito così profondamente la nomenklatura di partito? Le sue idee? Non proprio rivoluzionarie, possono scandalizzare giusto la Cgil e qualche altra cariatide d’apparato, visto che in quasi tutte le socialdemocrazie europee sono considerate banalità già da anni, se non decenni. E allora cosa? Cosa ha portato sull’orlo di una crisi di nervi gente come Massimo D’Alema o Rosy Bindi? La spocchia, appunto. L’idea, intollerabile, che un giovane sindaco potesse scalare tutti i gradini del partito e bruciare tutte le tappe del successo solo grazie a un meccanismo così maledettamente democratico come le primarie, lo stesso che lo ha portato a governare la città di Firenze, di nuovo, contro il parere della dirigenza. E da quando, in Italia, Vox populi, vox Dei? Quella che Renzi chiama la generazione che ha fallito, e che oggi detiene il potere in Italia, non solo politico, è costituita per lo più da ex sessantottini, quelli del sei politico e della militanza a oltranza; quelli per cui anche andare in bagno era un gesto politico e hanno ottenuto la politicizzazione della scuola, dell’università, della sanità, dell’intellettualità e di tutto il sistema pubblico, con non poche infiltrazioni in quello privato; quelli che oltre alla politica non si sa bene che cosa abbiano fatto; quelli che urlavano slogan di libertà e uguaglianza e hanno creato il sistema dei diritti senza doveri; quelli che si sono mangiati il futuro dei giovani vivendo nettamente al di sopra delle possibilità del paese e che sono diventati qualcuno sapendo aspettare il proprio turno. Questa è la classe dirigente che reagisce con una spocchia assoluta ai tentativi di chicchessia di scalfire tale sistema e tale cultura. In politica come nel mondo accademico e culturale, dove la protervia di tanti professori che hanno combattuto contro i cosiddetti baroni crea una distanza con i giovani studenti spesso incolmabile, e dove la difficoltà di farsi valere spinge tante menti brillanti lontano. Lontano dalla cultura della spocchia e dal suo sistema. Si potrebbero fare esempi in ogni settore, istituzionale, pubblico ed anche privato. Perché la cultura della spocchia è stata interiorizzata a livello nazionale e il risultato è che si è spenta qualsiasi forma di curiosità o interesse per le idee e le potenzialità dei giovani, sulla cui formazione infatti non si investe e non si crede. Fino a quando gli strumenti per farsi una posizione risiederanno nel saper diligentemente attendere il proprio turno, dopo aver coltivato gli ambienti giusti ed essersi messi dietro la persona giusta, l’Italia continuerà ad invecchiare senza crescere ed innovare. Inutile poi lamentarsi.
Certo, mi si potrebbe obiettare che i giovani italiani sono dei bamboccioni. In parte magari è vero, ma è vero soprattutto perché in questi decenni quella stessa classe dirigente ha imposto la cultura dell’abbattimento dell’autorità, in qualsiasi cosa essa si incarnasse, genitorialità compresa. Si è preferito essere fratelli o amici dei propri figli, viziarli, perdonarli sempre, coprirli addirittura. Una strada decisamente più semplice che educare con amore ma con autorevolezza, insegnando la fatica dei valori, dei principi a cui rimanere fedeli anche quando è dura, dei sacrifici che bisogna saper fare per raggiungere i propri obiettivi. Ora però a pagare il prezzo di tutti questi errori ci sono i tanti giovani in gamba di questo paese, molti dei quali ancora alla ricerca del proprio posto all’interno della chiusissima società italiana. Ma chissà che l’antidoto al germe della cultura della spocchia non sia stato seminato.

venerdì 7 dicembre 2012

Intervista a Raphael Israeli


Raphael Israeli, professore di storia dell’Islam, del Medioriente e della Cina all’Università Ebraica di Gerusalemme, non usa mezzi termini ed esordisce così: “La guerra a Gaza, per ora, è finita, ma la principale lezione da imparare dall’intera vicenda è il livello di ipocrisia delle Nazioni Unite”.
Professore, che cosa sta succedendo davvero a Gaza?
“La tregua durerà il tempo necessario ad Hamas per riarmarsi ed essere pronto a lanciare un nuovo attacco. Per anni Israele ha denunciato all’Onu e a tutte le potenze europee che il paese era oggetto del lancio di razzi provenienti da Gaza, ma, dopo aver dichiarato il fatto “inaccettabile”, nessuno si è mosso per impedirlo, mentre questa volta, appena Israele ha reagito per difendersi, il problema è diventato improvvisamente urgente e tutti, dagli Stati Uniti alla Russia all’Egitto allo stesso Ban Ki-moon, si sono prontamente adoperati per fermare il conflitto. Per questo parlo di ipocrisia delle Nazioni Unite. Perché la realtà è che nessuno alzerà mai un dito per la sicurezza di Israele, il quale sarà sempre obbligato a pensarci da solo, anche quando non otterrà l’autorizzazione per farlo. A questa situazione, peraltro, si deve aggiungere il dato di fatto che gli Stati Uniti si stanno alleando con i peggiori regimi fondamentalisti del mondo, quali Egitto, Turchia, Hamas, concedendo loro un grande riconoscimento.
Qual è lo stato d’animo in Israele per il secondo mandato di Obama? Come valuta l’atteggiamento americano riguardo l’offensiva a Gaza?
Penso che Obama alla fine si rivelerà meno negativo e dannoso di quanto gli israeliani temano, perché ha riconosciuto il diritto di Israele a difendersi, e ha bloccato il tentativo dei paesi arabi di ottenere da parte dell’Onu un’aperta condanna nei confronti dello stato ebraico. Ma, dall’altra parte, ha intimato ad Israele di non procedere ad un attacco di terra, e, insieme ai paesi europei e alle Nazioni Unite, ha accresciuto lo status politico di Hamas, indicandolo effettivamente quale successore dell’Autorità Palestinese e di Abu Mazen.
Attualmente la situazione in paesi come Libia ed Egitto è estremamente confusa, il conflitto siriano diventa sempre più cruento e Israele ha appena combattuto una guerra contro Hamas. In che modo pensa evolverà lo scenario mediorientale nel prossimo futuro?
Credo che l’Occidente si illuda ancora che la “Primavera” porterà un processo di democratizzazione nei paesi arabi grazie all’appoggio convinto degli americani, senza capire che nel lungo termine i tiranni saranno rimpiazzati dai fondamentalisti islamici, perché questo è quello che vogliono le masse. Va riconosciuto che il presidente egiziano Mursi, in questa occasione, si è rivelato alquanto pragmatico e pronto a contenere Hamas, ma noi sappiamo che quello che fa non è dettato da un cambio di mentalità, quanto esclusivamente dall’esigenza di ottenere gli aiuti economici statunitensi. La realtà è che il leader egiziano sta continuando a boicottare ogni possibilità di rapporto con Israele, di cui ancora non pronuncia nemmeno il nome.
Ritiene che l’Islam rappresenti davvero un pericolo per l’Occidente?
Basterebbe guardare i simboli e sentire gli slogan che caratterizzano le manifestazioni islamiche in Europa, ascoltare i musulmani proclamare il loro odio per la democrazia, per capire che la loro massiccia presenza nei paesi europei ingrossa una corrente antidemocratica che sta minando il Vecchio Continente. In Medioriente, invece, il timore più grande rappresentato dall’Islam riguarda la potenza nucleare iraniana, la quale, una volta divenuta effettiva, si rivolgerebbe infine contro Israele e contro l’Occidente.