Anticonformista,
eclettico e particolare anche nella scelta dei nomi. E’ il primo grande
incontro degli aderenti e dei simpatizzanti di Fare per Fermare il Declino, e
lui lo chiama AntiMeeting. Forse perché il presupposto è sfatare tutti i luoghi
comuni della vecchia politica, come quello del voto utile, secondo cui
l’elettorato italiano dovrebbe continuare a scegliere secondo lo schema
calcistico della Roma contro la Lazio, e prediligere uno dei grandi partiti
semplicemente per evitare che sia l’altro a vincere le elezioni. Ma lui questa
visione manichea la rifiuta integralmente, spiegando che tutte le grandi cose,
in Italia, sono nate da un manipolo di persone che ad un certo punto hanno
detto basta. Risorgimento ed Unità d’Italia compresi. Le premesse dunque
c’erano e l’evento, infatti, è notevole, l’organizzazione impressionante per un
movimento che è ufficialmente sceso in campo lo scorso 8 dicembre, i
personaggi, gli interventi, i temi, il format stesso, tutto oggettivamente
innovativo e di alto livello. L’entusiasmo dei presenti e della Rete c’è e si
vede. Chi non è fisicamente presente ascolta gli interventi in streaming e
twitta incessantemente, e lui, l’ultimo dei dandy, il signore degli anelli
(glieli invidio tutti) sale più volte sul palco e infiamma letteralmente la
platea.
Sembra
sceso da una tela del Diciannovesimo secolo, Oscar Giannino, ma in comune con
il decadentismo della fine dell’ 800, in realtà, ha solo l’eccentricità di un
abbigliamento che porta comunque con innegabile classe, mentre, quando parla,
il più competente giornalista economico italiano sembra arrivare direttamente
dal futuro. Con una visione a 360 gradi e un’idea di come dovrebbe essere l’Italia
da qui ai prossimi dieci anni, accompagnato e coadiuvato da una pletora di
economisti e professionisti di indubbio valore e di differenti inclinazioni,
l’AntiMeeting di Giannino è una giornata all’insegna di un ricco dibattito
programmatico. E il programma - chiaro, concreto, possibile e non trattabile –
è ciò che ha chiamato a raccolta migliaia di persone difficili da inserire in
una unica categoria. Non ci sono solo i delusi del centrodestra; l’argomentazione
di Berlusconi secondo cui Fare per Fermare il Declino toglie voti al Pdl è
parziale e fuorviante. Ci sono anche molti aspiranti renziani, i delusi di un
centrosinistra che ha imposto vecchie idee, vecchia nomenklatura e vecchie
alleanze alle ambizioni riformiste di una parte pure non irrilevante del suo elettorato.
Ci sono, in una parola, migliaia di persone che a queste elezioni, forse per la
prima volta, non avrebbero votato, persone che sarebbero andate ad ingrossare
le fila del primo partito italiano, quello degli astenuti.
Ma
cos’è che piace tanto del programma di Fare? I numeri, innanzitutto. Quelli che
spiegano a quanto ammonti e di cosa sia fatta la spesa pubblica. 800mld di euro
- non si stanca di ripetere Giannino - di cui l’apparato burocratico dello
Stato consuma il 51%, mentre solo un terzo del rimanente 49% è speso per il
welfare (sanità e pensioni). I margini per tagliare gli sprechi, dunque, ci
sono, ed anche solo agendo sulle impressionanti e ingiustificate differenze di
spesa tra le Regioni per le forniture, per fare un esempio, sanitarie, si
otterrebbero risparmi dell’ordine di miliardi. Ma non è solo un’operazione
matematica, è un fatto culturale. Il leitmotiv del programma di Fare è un
caposaldo del liberalismo classico: fuori la politica dalle attività economiche
(banche e fondazioni che le controllano, infarcite di politici, sono solo un
esempio), basta alla proliferazione di enti pubblici, società e imprese
infiltrate e controllate dalla politica, basta al dirigismo, all’invadenza,
all’oppressione statale. E basta imposte. Come ha spiegato anche Francesco
Giavazzi in videoconferenza, per tornare a crescere non esiste altra ricetta
che più mercato e meno tasse. Ma quali sarebbe possibile e necessario abbassare?
Cuneo fiscale e Irap per far ripartire le imprese, tanto per cominciare, e l’introduzione
di una novità che Giannino chiama egualitarismo verticale: per favorire
l’ingresso di giovani e donne nel mercato del lavoro, si può attuare una tassazione
differenziata, da alzare progressivamente con la crescita della capacità
contributiva. In questo modo le entrate erariali sarebbero garantite e
invariate, seppur spalmate nell’arco della vita lavorativa, mentre il vantaggio
sarebbe immediato. Ci sono poi le proposte sulla trasparenza (perché non far
sentire via internet i consigli dei ministri?), le privatizzazioni (Rai e non
solo) che però, come spiega Carlo Stagnaro, non si possono attuare senza
portare prima a termine le liberalizzazioni (energia e trasporti, ad esempio), il
rapporto tra Stato e imprese, la famiglia come soggetto tributario, il merito e
la concorrenza, la sussidiarietà, il rapporto tra pubblico e privato. Ma il
programma di Fare non è solo un manuale di economia. All’AntiMeeting parlano economisti,
imprenditori, giornalisti, ricercatori, uomini di scienza e di cultura,
candidati, persone comuni. Tutti accomunati dal filo conduttore di una visione
liberale della società che nella politica italiana, chiacchiere a parte, non ha
mai prevalso; tutti a spiegare che cosa significa, nella vita reale e in
termini di costi, l’oppressione burocratica e l’invadenza politica dello Stato.
Vale per tutto: giustizia, famiglia, scienza, sanità, società.
A
chiudere la giornata lui, il leader insospettabilmente carismatico, che impronta
il suo intervento finale su una domanda sostanziale: perché gli indecisi
dovrebbero fidarsi di Fare? Oscar Giannino è consapevole della sfiducia e della
stanchezza degli elettori nei confronti delle promesse dei partiti, e pensa a
qualcosa di concreto per differenziarsi; informa così la platea che il
movimento si è dotato di un collegio di garanti esterno, composto da figure di
alto livello professionale, che giudicheranno l’operato del partito, per
iscritto, una volta l’anno, e lancia due proposte: cambiare la regola
costituzionale del mancato vincolo di rappresentanza, che è causa della
transumanza dei parlamentari da un partito all’altro, e inserire nel futuro
statuto di Fare una norma per la quale, in caso di incoerenza grave di un
eletto, tutti gli aderenti del movimento, nel pieno rispetto delle leggi, hanno
il diritto di attuare una moral suasion fino al conseguimento della lettera di
dimissioni del “traditore”. Una boutade? A giudicare dalla serietà del clima in
sala c’è da crederci. Qualcuno ha deciso di fare sul serio.
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